A letto nel Medioevo. Come e con chi.

Titolo: A letto nel Medioevo. Come e con chi.

Autore: Chiara Frugoni
Editore: Il Mulino
Collana: Grandi illustrati
Anno edizione: 2022
In commercio dal: 2 settembre 2022
Pagine: 168 p., Rilegato

Chiara Frugoni, specialista del Medioevo e di Storia della Chiesa, è stata docente di Storia medievale in diverse università, tra cui quelle di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi libri si segnalano: Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali (Laterza, ultima rist. 2014), per Einaudi Quale Francesco? (2015) e Senza misericordia (con S. Facchinetti, 2016), per il Mulino Vivere nel Medioevo. Uomini, donne e soprattutto bambini (2017) e Uomini e animali nel Medioevo. Storie feroci e fantastiche (2018), Paradiso vista inferno (2019) e Donne medievali. Sole, indomite, avventurose (2021). I suoi saggi sono tradotti nelle principali lingue europee, oltre che in giapponese e in coreano.
Chiara Frugoni ha contribuito con i suoi studi a liberare il Medioevo dall’immagine errata di un periodo buio, di arretramento della civiltà. Medioevo sul naso – il suo saggio divulgativo più celebre – è dedicato appunto ai progressi che l’umanità ha compiuto anche grazie alle invenzioni più piccole ma significative, come occhiali e bottoni.

Chiara Frugoni, nell’ultimo libro scritto prima della scomparsa, racconta l’antica storia dei giacigli: sontuosi o umili, teatro dell’umanità.

Gelo, pioggia e vento: nel Medioevo sembra esserci solo un’unica stagione, l’inverno. Ma i disagi del clima sono compensati dal tepore del camino, sempre presente nella stanza da letto. Dove non ci si coricava soltanto; anche di giorno la camera era vivacemente utilizzata: per pranzare, studiare, ricevere visite. Sontuoso e imbottito, abbellito da nappe e cuscini, oppure umile pagliericcio, comprato al mercato o fatto su misura, il letto tutto racconta: la morte e la nascita, amori legittimi e amori proibiti, giochi festosi, atti di violenza e tripudio dei sensi, malattie, segreti e trame di ogni genere. Un luogo per due? Non necessariamente. A volte molto affollato e ad accoglienza variabile, come avviene nelle gustose novelle di Boccaccio, sul letto tenta di appuntarsi, senza molto successo, il controllo della chiesa che lo addita come luogo di ogni seduzione diabolica.

Scrive ItaliaOggi

Le minacce sui razionamenti energetici rappresentano un’eventualità, forse quasi immediata, certo grave specie per i territori della penisola più esposti ai rigori del futuro inverno. Se però ci confrontiamo con i secoli del Medioevo, il raffronto grava sugli antenati. Lo si comprende con estrema documentazione nel recente e postumo volume A letto nel Medioevo, dovuto alla medievalista Chiara Frugoni (1940-2022), che ci ammicca sulle condizioni, invero alquanto difformi, che l’uso del letto richiedeva.

Il freddo non mancava: «C’era chi si preparava ben steso sul letto il proprio abito in modo che, svegliandosi al mattino, uscito dalle tiepide lenzuola con il corpo nudo, si trovasse esposto al morso del gelo per il minor tempo possibile». Poteva capitare di non dormire da soli: «A volte sotto il letto con cortine poteva essere fatto scivolare un secondo lettino più basso, con ruote, da usare per un’occasione imprevista o per ospitare un valletto». Curiosamente, di solito «si dormiva semisdraiati per la presenza di numerosi cuscini», carattere che oggi si nota più facilmente leggendo per esempio romanzi ambientati in altri Paesi, come Stati Uniti e Gran Bretagna.

Si parla ovviamente soprattutto di persone, se non abbienti, certo in condizioni ben diverse dai poveracci che sopravvivevano, per non parlare dei disgraziati alloggiati in ospizi di pellegrini e di malati, costretti a dormire in più persone in un letto, mal coperti o non coperti affatto. Ovviamente le testimonianze, specie quelle letterarie (si pensi al Decameron, pozzo senza fondo di citazioni sui letti con abbondanza di riferimenti erotici), sono per lo più riferite a chi meglio se la spassava. Però l’ambiente colpiva tutti o quasi: «Oggi, con l’acqua corrente e l’abituale igiene personale, non pensiamo più agli afrori del sudore e a tutti i cattivi odori stagnanti nell’aria medievale a causa della presenza di liquami e deiezioni animali e umane nelle strade (non esistevano le fognature), dove abitualmente finiva anche, buttato dalla finestra, ogni tipo di rifiuto organico commestibile, per quanto poi portato via subito da cani, galline e soprattutto maiali. Il lezzo doveva invece essere così diffuso nella quotidianità da portare, per converso, al vivo apprezzamento del suo contrario». Vengono alla mente alcuni amari riferimenti alla vita quotidiana in Roma, specie di notte, stesi nelle Satire di Giovenale.

Caratteristico di quei secoli era l’estendere l’uso della camera da letto. Non era una semplice stanza di riposo, ma parecchio altro: «Mentre noi abbandoniamo di giorno il luogo dove dormiamo al silenzio e alla solitudine, nel Medioevo la camera da letto era animata da varie attività. La stanza si adattava infatti rapidamente ai desideri e ai bisogni di chi ci viveva. Innanzi tutto, proprio per la piacevolezza del materasso imbottito e per il calore offerto, se necessario, da fuoco acceso, faceva le veci del nostro soggiorno. Qui venivano ricevute le persone». Infatti, «la camera da letto di giorno non serviva soltanto per conversazioni private o per rapidissimi incontri. Carlo VI [di Francia] aveva l’abitudine di ricevere i suoi consiglieri, stando semisdraiato sul letto». Se scivoliamo in un’epoca più recente, giunge spontaneo il ricordo del levarsi di Luigi XIV, il Re Sole, nella sua stanza da letto, mentre centinaia di persone si affannano per stargli accanto e soprattutto parlargli.

Nella stanza da letto il mobile principale dominava, ma ne abbondavano pure altri, fino ai casi di maggiori ingombri segnalati da riproduzioni di eventi sacri, quale la nascita della Madonna. Le riproduzioni, con relativo commento, consentono di comprendere con molta esattezza oggetti su oggetti, che non sempre ci si attenderebbe in una stanza in sé avente destinazione specifica. Talora càpita di appagare una curiosità: «Il tavolo è formato da un’asse appoggiata su cavalletti che, finito il pasto, veniva addossata verticalmente al muro (donde il detto, in uso quando ero giovane: ‘Leviamo le mense’)».

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Estratto del primo capitolo

L’anziano marito che scrive in prima persona Le Mesnagier de Paris (Il capo di casa di Parigi) – siamo fra il 1392 e il 1394 – durante la prima settimana di matrimonio suggerisce alla giovane sposa quindicenne tutti i modi per diventare una perfetta moglie e padrona di casa.

Innanzitutto dovrà occuparsi del benessere fisico del marito, provato da tante incombenze e dal lavoro fuori casa, e assicurargli, al ritorno, ogni conforto. «È compito del povero marito: andare e venire, correre di qua e di là senza badare a pioggia, vento, neve e gelo. Una volta è zuppo, un’altra asciutto, un giorno è in un bagno di sudore, un altro trema di freddo, mangia male, è male alloggiato, dorme in un letto scomodo, o soffre per le scarpe male in arnese. Ma sopporta tutto perché sogna le cure di sua moglie al ritorno: carezze, gioie e piaceri che sarà lei a prodigargli o a fargli procurare da altri in sua presenza. Ecco che lei, davanti al fuoco che scoppietta, gli toglie le scarpe, gli lava i piedi, gli porta le pantofole giuste. Poi lo fa mangiar bene e bere meglio, servito e riverito, finché si ritirano a letto fra lenzuola candide, con lui che indossa un berretto bianco, ben coperto da buone pellicce. È il momento dei piaceri, dei giochi e degli scherzi d’amore, e di tutte quelle segrete risorse che qui taccio. Al mattino dopo gli prepara un’altra camicia e vestiti nuovi».

Quello che qui desidero sottolineare è che, nonostante si alluda anche a una stagione calda (un bagno di sudore), il Mesnagier de Paris sembra vivere in un perpetuo inverno: all’esterno ci sono solo freddo, gelo, pioggia e vento, e con che entusiasmo desidera la sua casa dove invece di giorno arde la legna nel camino e di notte i disagi patiti sono compensati dal meraviglioso tepore di un letto molto accogliente! Oltre alla moglie affettuosa e complice troverà morbide pellicce e il berretto che ripara il capo dal gelo della camera. Di notte infatti, onde evitare il pericolo di incendi, il fuoco è spento.

Alla giovane sposa Le Mesnagier de Paris raccomanda che ogni sera, prima di coricarsi, si assicuri che i servitori abbiano ricoperto in tutti i camini le braci con la cenere. Solo allora sarebbero potuti andare a coricarsi; ma la brava padroncina doveva ancora accertarsi che prima ciascuno avesse posato il suo candeliere ben lontano dal proprio letto, dopo avere spento la fiamma, «sia soffiando sia con le dita, ma proprio un momento prima di entrare a letto e non quando erano ancora in camicia». Anche Le Mesnagier de Paris indossa per la notte soltanto un berretto.

Nel letto tutti dormivano nudi, anche i moribondi o gli ammalati (come nella miniatura del trattato di Bartolomeo Anglico), per liberarsi il più possibile dell’importuna compagnia di pulci e altri insetti, gettando poi di solito gli abiti su un bastone teso fra le pareti, ben lontano anche dai topi. Ma c’era anche chi si preparava ben steso sul letto il proprio abito in modo che, svegliandosi al mattino, uscito dalle tiepide lenzuola con il corpo nudo, si trovasse esposto al morso del gelo per il minor tempo possibile.

Così si era organizzato il poeta Évrart de Conty, quando nella camera giunse Natura che gli insegnò in sogno la cautela nell’uso delle parole. Notiamo al volo che di solito nel Medioevo si dormiva semiseduti per la presenza di numerosi cuscini. Le cortine, nella miniatura, sono arrotolate: così erano di giorno, ma qui il miniatore le ha sollevate per permettere all’osservatore di vedere tutti i particolari della scena. E a scanso di equivoci, con lettere dorate che spiccano sulla coperta verde, ci dice di chi si tratta e quale opera ha scritto; leggiamo infatti: «L’acteur du livre ryme».

Quando i film raccontavano di cowboy e indiani, gli scontri avvenivano sempre in assolati paesaggi con il cielo terso e senza nuvole. Nel Medioevo invece sembra che non esista mai l’estate. Patire il freddo doveva essere una sensazione profondamente interiorizzata. Dai serramenti approssimativi delle finestre entravano gli spifferi che penetravano anche fra gli interstizi delle travi in legno del soffitto. Il sistema di riscaldamento era insufficiente: il camino, si sa, dà calore solo a chi gli sta molto vicino e per tirare bene spesso ha bisogno della corrente d’aria di una porta o di una finestra socchiuse.

Osserviamo la Nascita di Maria in una miniatura del 1450-75 tratta dalla Fleur des histoires di Jean Mansel, dove Anna [la madre di Maria], data l’età, è eccezionalmente mostrata vestita, forse anche perché aspetta visite.

Per mettere a suo agio il lettore l’artista, attraverso un virtuale squarcio della parete, fa assistere all’episodio precedente, quando l’angelo era venuto ad annunciare al vecchio Gioacchino, rifugiatosi fra i pastori, vergognoso per la propria sterilità, che presto sarebbe diventato padre.

Al solito, nonostante la nascita sia avvenuta l’8 settembre, sembra che faccia molto freddo, fuori e dentro. L’amica appena entrata, a destra, è avvolta in un ampio mantello azzurro, a coprirle anche la testa velata. Il camino, con catena a cremagliera regolabile e piastra protettiva di ferro sul fondo, è spento. Il pavimento è di terra battuta; solo la parte dove di solito arde il fuoco è fatta di mattoni, che si estendono un poco anche verso il centro della stanza, là dove sarebbero potuti schizzare i tizzoni.

Nella camera c’è anche un’alta credenza dove fanno bella mostra di sé piatti, brocche e bicchieri. In effetti, come si vedrà meglio fra poco, nella camera da letto spesso si pranzava, approfittando del camino per cucinare e stare al caldo.

Ad attutire il freddo e l’umidità dell’impiantito, il letto è issato sopra una pedana in legno. Oltre alla coperta rosa che si intuisce pesante, una bella trapunta ricamata aggiunge altro calore. Se ce ne fosse bisogno, un paio di cuscini imbottiti con nappe sono poggiati sulla cassa ai piedi del letto dove possiamo immaginare riposte ulteriori coperte e lenzuola.

Anna si appoggia a un doppio cuscino: uno è il capezzale di forma cilindrica, che occupa tutta la larghezza del letto, e un altro è più piccolo e bene imbottito, anch’esso con due nappe alla sommità. La puerpera sta consegnando Maria già fasciata come una piccola mummia a una amica ben protetta dal gelo grazie a un doppio abito e a un ricco panneggio intorno al capo. Dei suoi piedi scorgiamo solo le punte delle scarpette nere, poggiate su una stuoia intrecciata che dovrà impedire ad Anna di rabbrividire troppo quando, dopo ben quaranta giorni, lascerà il letto.

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