Aldo Grandi

Aldo Grandi è nato a Livorno nel 1961. Vive e lavora a Lucca, dove dirige quattro quotidiani online: lagazzettadilucca.it, lagazzettadiviareggio.it, lagazzettadimassaecarrara.it e lagazzettadelserchio.it. Ha al suo attivo numerosi libri: Fuori dal coro. Ruggero Zangrandi. Una biografia (1998), Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario (2000), I giovani di Mussolini (2001), pubblicati da Baldini&Castoldi, Gli eroi di MussoliniNiccolò Giani e la Scuola di Mistica fascista (Rizzoli 2004, Diarkos 2021), Insurrezione armata (Rizzoli 2005), L’ultimo brigatista (Rizzoli 2007), Il gerarca con il sorriso (Mursia 2014), Almirante. Biografia di un fascista (Sperling & Kupfer 2014, Diarkos 2021) e la cura del diario di Guido Pallotta a Fiume, L’ultimo legionario (Diarkos 2022). Per Chiarelettere ha pubblicato Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli (2022) e La generazione degli anni perduti. Storia di Potere operaio (2023).

Biografia completa

Aldo Grandi è nato a Livorno nel 1961. Laureatosi in Scienze Politiche a Roma nel 1987, nel 1988 vinse una borsa di studio della “Poligrafici Editoriale Spa” per avviamento alla professione giornalistica. In precedenza aveva collaborato alle pagine culturali di Paese Sera e a l’Avanti oltre che al periodico della Uil diretto da Aldo Forbice Lavoro e Società. Dall’aprile 1990 è giornalista professionista alla redazione lucchese del quotidiano La Nazione. Dall’anno successivo è collaboratore del Corriere della Sera.

Nel 1984, ancora studente universitario, si imbatté in un libro scritto da una professoressa universitaria di Sassari, Marina Addis Saba. In quel piccolo volume, Gioventù Italiana del Littorio – La stampa dei giovani nella guerra fascista, edito da Feltrinelli, lesse per la prima volta i nomi di Ruggero Zangrandi, Fidia Gambetti, Ugoberto Alfassio Grimaldi. Fu così che si appassionò a quella generazione, la generazione, cioè, che aveva vissuto la propria giovinezza durante il fascismo e che da quest’ultimo era stata allevata affinché diventasse la nuova classe dirigente del regime.

Fu allora che decise di procedere a una ricerca sul campo che gli permettesse di conoscere di persona e farsi raccontare ciò che, per quei giovani, quel tempo aveva rappresentato e come quel tempo avevano vissuto. C’era anche, profondo, il desiderio di penetrare un periodo storico di cui aveva sentito parlare un po’ ovunque – a scuola, all’università, dal padre, dagli amici più o meno politicizzati – ma di cui poco o niente aveva appreso di utile e formativo. Ma chi avrebbe dato ascolto a un ventenne animato da tanto entusiasmo, ma senza qualifiche né appoggi di qualsivoglia natura?

Si inventò così un gruppo di studenti coadiuvato da alcuni professori. I primi non esistevano, i secondi avevano appena avuto notizia dell’iniziativa, ma niente di più. Nel frattempo aveva anche divorato il libro di Ruggero Zangrandi “Il lungo viaggio attraverso il fascismo” rimanendone profondamente colpito. Fu da quella lettura che maturò non solo la passione per la storia, ma anche la volontà di fare il giornalista e lo scrittore. Era la prima volta che qualcuno aveva la capacità e il coraggio di andare a fondo nel cercare di capire quali fossero le reali responsabilità per l’avvento del fascismo e il suo consolidarsi. Ed era la prima volta che si facevano nomi e cognomi oltre a raccontare il viaggio sofferto di chi, giovanissimo e senza maestri se non di conformismo, aveva dovuto faticare e pagare di persona per capire gli errori di gioventù.

Questo libro, unitamente a quello di Fidia Gambetti – Gli anni che scottano – e a quello della Saba, costituirono l’inizio di un processo di formazione culturale e storica che, da allora, non si è più fermato e continua ancora adesso. Nell’appendice all’opera di Zangrandi, pubblicata da Feltrinelli, c’è l’elenco completo dei partecipanti ai Littoriali della Cultura e dell’Arte, una manifestazione che avrebbe dovuto, nelle intenzioni del fascismo, formare la gioventù di Mussolini e che, invece, costituì, spesso, una palestra in cui molti, non tutti, trovarono sfogo per raccontare e alimentare i propri dubbi e le proprie perplessità nei confronti della politica di Mussolini.

Da quell’elenco Grandi annotò numerosi nominativi, in particolare, ma non soltanto, tra coloro che, nel dopoguerra, assunsero a ruoli di rilievo nel mondo della cultura, della politica, del cinema, dell’arte, delle libere professioni – indipendentemente dalle loro posizioni o opinioni politiche – e inviò una lettera di presentazione e un questionario chiedendo di poterli incontrare per conoscere qual era stato il loro percorso. Rispose per primo Rosario Assunto e, poi, via via, tanti altri, al punto che, nel 1986, quasi settanta ex giovani del littorio erano stati intervistati.

Grazie a questa storia orale, a questo andare indietro nel tempo rivivendo atmosfere più o meno tragiche, Grandi apprese più di quanto avrebbe mai potuto capire leggendo centinaia di libri. Per non parlare del piacere di fare la conoscenza – e con qualcuno iniziare anche un’amicizia – di persone estremamente ricche umanamente e culturalmente.

Questo lungo percorso avrebbe dovuto essere pubblicato sia dagli Editori Riuniti – con i quali Grandi firmò un regolare contratto mai rispettato dall’editore per motivi politici e di opportunità – sia da Bonacci, la cui collana storica era diretta da Renzo De Felice. Così non fu, e solo nel 1990, grazie a Orazio Barrese e Carlo Carlino, entrambi collegati a un editore di Catanzaro, Abramo, il testo poté vedere la luce sotto il titolo Autoritratto di una generazione. Le soddisfazioni economiche furono poche, buone e numerose, invece, le recensioni. Nel 1994 sempre Abramo pubblicò la biografia di Ruggero Zangrandi, proprio lui, l’autore del lungo viaggio. Anche qui tante e interessanti le recensioni, ma la casa editrice era troppo piccola per poter lanciare un libro e gratificare in tutti i sensi un autore.

La svolta avvenne nel 1997, quando Sandro Gerbi, conosciuto per caso, cercò Grandi per alcune informazioni su una ricerca che stava conducendo su Guido Piovene e, tra una parola e l’altra, chiese a Grandi di poter accennare a Giorgio Boatti, consulente di Baldini&Castoldi, per una eventuale ripubblicazione della biografia di Zangrandi che gli era piaciuta moltissimo. L’autore acconsentì. Fu Oreste Del Buono, pochi giorni dopo, a dargli un appuntamento e a tessere le lodi del lavoro apparso nel 1994 per Abramo.

A Milano, presso la sede di Baldini&Castoldi, Grandi, accompagnato da Giorgio Boatti, oltre a firmare il contratto per la riedizione – con l’aggiunta di nuovi documenti – del libro su Zangrandi, propose un lavoro che a qualunque altro editore sarebbe apparso una pazzia sotto tutti i punti di vista: la biografia di Giangiacomo Feltrinelli, l’editore morto nel 1972 mentre stava cercando di far saltare un traliccio dell’alta tensione e proprietario di una tra le più potenti e conosciute case editrici europee.

Grandi aveva già cercato, nella sua ingenuità, di occuparsi di questo personaggio, ma, nonostante l’appoggio di Nicola Tranfaglia, si era scontrato con l’assoluta opposizione del figlio Carlo Feltrinelli e della madre Inge Schoental. Alessandro Dalai accettò di pubblicare la biografia di Feltrinelli sapendo bene che – e la sua previsione fu azzeccatissima – così facendo si sarebbe inevitabilmente imbattuto – e con lui l’autore – nell’ostracismo della casa editrice di via Andegari.

Nel 1998 uscì il nuovo libro su Ruggero Zangrandi Fuori dal coro e, nel 2000, dopo infinite peripezie e un lavoro di ricerca massacrante, Giangiacomo Feltrinelli, la dinastia, il rivoluzionario. Quattro mesi prima il figlio Carlo aveva dato alle stampe un suo libro sul padre anticipando, dopo trenta anni dalla morte e nonostante la promessa fatta all’autore di non farne niente, il volume di Grandi.

L’anno successivo, il 2001, ha visto l’uscita, sempre per Baldini&Castoldi, di un libro che ha ottenuto un inaspettato successo, sia di vendite sia di recensioni: I giovani di Mussolini, una raccolta di quaranta testimonianze riprese proprio da quella ricerca fatta alla metà degli anni Ottanta. In questo volume, rispetto al precedente di Abramo, sono state inserite venti nuove mini-biografie, inedite, di ex giovani del tempo fascista tra cui quella di Giorgio Almirante. Ancora una volta, così come era stato in anticipo sui tempi la ricerca del 1984, così anche nel 2001 l’autore poté scrivere nella sua breve introduzione che si trattava del primo libro che contenesse, insieme, sia le testimonianze di quei giovani fascisti pervenuti all’antifascismo, sia di quelli che, al contrario, fascisti erano rimasti. Le quaranta interviste rappresentano un panorama completo, comprendente anche le donne, e esauriente, della gioventù del Ventennio.

Nel 2002 Aldo Grandi passò, per ragioni di prestigio, alla casa editrice Einaudi di Torino e nel luglio del 2003, nella collana degli Struzzi, è uscito La generazione degli anni perduti – Storie di Potere Operaio, un libro sugli anni della contestazione ricco di documenti e testimonianze inedite dei protagonisti di allora. Anche qui l’attenzione ai fenomeni generazionali si conferma come tentativo di comprendere le ragioni di certe scelte, umane e politiche, spesso drammatiche, talvolta tragiche. Il libro su Potere Operaio ottiene una lunga serie di recensioni e un robusto successo di vendite se si pensa all’argomento trattato e al fatto che le principali testate giornalistiche orientate a sinistra evitino di parlare del volume. Ad agosto 2005 La generazione degli anni perduti aveva venduto oltre 6 mila copie.

Nel frattempo, a gennaio 2004, Grandi lascia la casa editrice Einaudi e segue l’ex direttore della collana degli Struzzi, Lorenzo Fazio, alla Rizzoli. Per quest’ultima, a fine settembre 2004, nella collana dei Bur, è uscito il libro Gli eroi di Mussolini – Niccolò Giani e la Scuola di Mistica fascista: si tratta di una storia appassionante, la biografia di un uomo che, direttore della scuola che aveva il compito di custodire i sacri principi della rivoluzione fascista, partì volontario per tutte le guerre fino a morire sul fronte greco albanese nel marzo 1941. Nessuno aveva mai scoperto l’archivio di Giani, che la vedova prima e i figli, poi, avevano custodito gelosamente senza farlo consultare a chicchessia. Aldo Grandi ha incontrato gli eredi di Giani e, così come aveva fatto con Zangrandi e con il libro sui giovani dei Littoriali, ha tracciato la storia di una fetta di gioventù in camicia nera – la più convinta, la più esaltata, la più osservante, la più fascista – che nessuno, salvo una rara, ma datata eccezione, aveva voluto affrontare. C’è da dire che questo è stato possibile per la vasta mole dell’archivio della famiglia Giani, dove sono custoditi veri e propri tesori storiografici come, ad esempio, le lettere che i giovani allievi della scuola di mistica spedivano al reggente la scuola, Salvatore Atzeni, dai vari fronti di guerra. Ne è venuto fuori un quadro drammatico, ma vero e umanamente toccante e significativo, di una generazione di giovani intellettuali che partì volontaria per la guerra convinta che quella fosse la giusta missione da compiere e che pagò, spesso con la vita, la sua coerenza e fedeltà a Mussolini.

Dopo l’uscita del libro Gli eroi di Mussolini, il 7 settembre 2005 è uscita l’ultima fatica, sempre per la Rizzoli Bur, dal titolo: Insurrezione armata. Il volume, ricchissimo di contenuti, oltre 450 pagine, rappresenta la più grande inchiesta mai condotta su uno dei gruppi extraparlamentari fuorisuciti dal Movimento Studentesco del ’68. Esso raccoglie 28 testimonianze di altrettanti protagonisti di quella stagione che si concluse con la celebrazione del processo cosiddetto <7 aprile> contro Toni Negri e altri. In realtà, accuse pesantissime, rivelatesi, poi, prive di spessore, vennero mosse dal giudice Calogero contro i vertici dell’Autonomia Operaia e di quello che era stato il gruppo della sinistra extraparlamentare più elitario, più violento, più rivoluzionario e più ideologizzato: vale a dire Potere Operaio. Il libro ospita i percorsi autobiografici di numerosi protagonisti di quegli anni che non hanno mai parlato prima, e porta alla luce storie, fatti e vicende rimasti finora nell’oscurità a causa, anche e forse, soprattutto, dei timori di eventuali conseguenze giudiziarie. Ma ora che tutto è caduto in prescrizione, la verità storica reclama il suo ruolo e i suoi diritti. Ventotto racconti di rara intensità emotiva e di grande lucidità storica e politica che non annoieranno il lettore, ma lo accompagneranno lungo uno dei periodi più bui della nostra storia, per conoscere e tentare di capire perché, una fetta robusta di una generazione, scelse di combattere il sistema e lo Stato in nome di una società più giusta e più vera. Il libro, recensito dalle testate più significative, schizza immediatamente in classifica tra i libri più venduto nel settore della saggistica, fino a giungere al nono posto sull’elenco proposto dal Corriere della Sera e al settimo su quello apparso sul Supplemento Libri della Stampa. Un successo inaspettato.

Passiamo, poi, alla primavera del 2007, quando in libreria esce, sempre per la Rizzoli Bur collana Futuro/Passato, L’ultimo brigatista, un libro che, a due anni dalla sua pubblicazione, ossia a maggio 2009, ha venduto oltre seimila copie. Il volume può essere diviso in due parti: la prima, che raccoglie la testimonianza-intervista di Raffaele Fiore, ex componente il commando delle Brigate Rosse che il 16 marzo 1978 rapì Aldo Moro uccidendo i cinque uomini della scorta in via Fani a Roma. Nella seconda parte, invece, si tenta di ricostruire alcuni misteri legati ai personaggi che, seppur coinvolti in quella strage, per un motivo o per l’altro sono riusciti a sfuggire alla giustizia. Un percorso articolato e complesso, che mette in luce come, nella fuga di Alvaro Lojacono, Alessio Casimirri e Rita Algranati ci fu la complicità di settori insospettabili della società politica e civile del tempo, a partire, probabilmente, dal Vaticano. Luciano Casimirri, infatti, padre di Alessio, è stato il segretario personale di tre papi tra cui, l’ultimo, appunto, Paolo VI, proprio il pontefice che, all’indomani del rapimento dello statista democristiano, volle indirizzare una lettera agli ‘uomini delle Brigate Rosse’. Il libro scorre via velocemente e si legge come un racconto giallo. Può aver infastidito certi ambienti, in particolare extraparlamentari, ma ciò non toglie che confutare le tesi proposte è abbastanza difficile. Infatti i suoi detrattori si limitano a accusare l’autore di aver adoperato uno schema di scrittura più simile a un’indagine poliziesca che a un libro di storia, ma non riescono a controbbatere sulla sostanza del volume. Quanto, poi, ai presunti misteri su e di via Fani, l’autore ritiene che non ve ne siano e che del rapimento e uccisione di Aldo Moro e della scorta siano materialmente responsabili solo e soltanto le Brigate Rosse. Inoltre, quella mattina, sul posto c’erano dieci militanti delle Br, né uno di più né uno di meno. E se anche Rita Algranati è stata assolta dall’accusa di omicidio di Aldo Moro e della sua scorta, la ricostruzione storica dimostra come, al contrario, ella fosse in via Fani insieme ai suoi compagni.

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