Per musicare un poeta bisogna viverlo. Intervista a Giovanni Nuti.

La Rai ha omaggiato l’indimenticata poetessa milanese, Alda Merini. Sulla sua rete ammiraglia, Rai Uno, è stato trasmesso il film di Roberto Faenza: “Folle d’Amore – Alda Merini”. Una pellicola che mette in scena la vita travagliata ed eccezionale della grande poetessa dei Navigli. Protagonista assoluta Laura Morante assieme a, tra gli altri, Federico Cesari, Rosa Diletta Rossi, Sofia D’Elia e Giorgio Marchesi.

Vertice assoluto dell’intera colonna è senza dubbio “Lirica Antica”, uno di più affascinanti componimenti della Merini. Musicato, composto e interpretato da Giovanni Nuti: musicista e cantante pluripremiato che ha incontrato Alda Merini nel 1993, iniziando un rapporto di collaborazione e di amicizia profonda durato tutta la vita, e che la poetessa definiva un vero e proprio “matrimonio artistico”.

Partendo dall’intimo, dall’essenziale, dalla sua arte: se Alda Merini fosse musica, che musica sarebbe?

Alda Merini nell’ultima telefonata dall’Ospedale San Paolo mi disse: “Ricordati che sei stato la mia musica”. E quindi se Alda fosse musica direi che sarebbe le nostre canzoni, con cui Alda a volte ballava e a volte si commuoveva. Perché in alcune canzoni, come per esempio “Le osterie”, “La zanzara”, “Il depresso”, “Una piccola ape furibonda”, c’era tutta la sua allegria, la sua ironia, la sua gioia di vivere e in altre canzoni invece come “L’albatros”, “Prima di venire”, “Il violinista piange”, c’era invece il dolore e l’esperienza struggente della mancanza d’amore. Alda Merini era una tempesta d’amore, con una forza vitale irresistibile che ti avvolgeva e ti travolgeva e che spero arrivi a tutti coloro che seguono Segnalibro.

Ci può spiegare meglio cosa intendeva la Merini, parlando del vostro rapporto, con “matrimonio artistico”? Da dove nasceva questa vostra forza ispirativa reciproca: dalla somiglianza del vostro essere artisti, dalla diversità delle vostre arti?

Con lei ho collaborato per sedici lunghi anni, lei definiva appunto la nostra collaborazione un “matrimonio artistico”. Alda diceva che per musicare un poeta bisogna viverlo, conoscerlo nella quotidianità. E certamente il nostro sodalizio presupponeva una sintonia e una comunicazione profonda, non un semplice rapporto intellettuale. Tra di noi c’era, oltre a una grande stima reciproca e una grande amicizia amorosa, una vera e propria connessione di anime. Poesia e musica hanno radici nelle emozioni e nei sentimenti. Quando le note e i versi diventano una canzone, diventano una cosa sola, si fondono in un’alchimia che li trasforma e li potenzia arrivando al cuore di chi ascolta. Per questo Alda diceva che, con la mia musica, i suoi versi potevano arrivare anche a chi non entrerebbe mai in una libreria a comprare un libro di poesie. Alda inoltre conosceva la musica e suonava il pianoforte e questo forse ha facilitato il nostro creare insieme. In sedici anni di collaborazione non ha mai “bocciato” una mia canzone e la cosa singolare e davvero unica è che non ho semplicemente musicato le sue poesie. Alda ha anche scritto appositamente per me, perché io la musicassi.

Alda Merini viene spesso definita come la poetessa dell’amore per la vita, della gioia anche nella sofferenza, della speranza inestinguibile. Era davvero così?

Alda ha scritto: “La prima condizione della poesia è la libertà, la gioia: non si può fare poesia in un luogo ristretto della dimora del proprio essere”. E difatti sostanzialmente non ha scritto poesie in manicomio. «La poesia è una grande distrazione dal dolore, dalle cose pesanti della vita. La poesia è anche una catena, ma una catena di fiori». Alda ha saputo superare con la sua creatività tutte le vicissitudini, i traumi, le violenze subite: un lungo ricovero in manicomio, più di 40 elettroshock, l’allontanamento di 4 figlie affidate ad altri, una lunga indigenza. Alda ha attraversato il dolore ma ne è sempre riemersa con la sua straordinaria voglia di vivere, e con la forza della sua poesia che ha angelicato la realtà e l’ha trasformata in materia di canto. Alda diceva di aver goduto tutto della vita, anche il suo inferno.

Com’è nato il suo coinvolgimento nel film “Folle d’Amore – Alda Merini” e com’è stato farne parte in maniera così importante, con la sua arte, con la sua musica?

Io sono entrato nel progetto del film in una fase avanzata. Roberto Faenza, che ringrazio per avermi dato questa opportunità e responsabilità artistica, voleva concludere il film con le parole di Alda e con la “vera” Alda Merini recitante e con i suoi versi poetici che diventassero una canzone. Io ho musicato più di cento poesie di Alda. E ho proposto appunto questa poesia “Lirica antica”, che avevo musicato quando Alda era ancora in vita, ma che poi era finita nel cassetto perché avevamo a disposizione anche il video di Alda che dice la poesia sul palco dello Strehler: la combinazione emozionante della sua viva voce e della mia trasposizione in musica, hanno convinto Faenza e i produttori. Adriano Pennino ha arrangiato il brano magnificamente e così “Lirica antica” è diventata la canzone originale che chiude il film.

Cosa ci hanno lasciato la poetessa e la donna Alda Merini? E perché è così popolare ancora oggi, soprattutto tra i giovanissimi?

Alda ci ha lasciato la sua poesia, versi che ci colpiscono a livello profondo e arrivano al cuore frutto, di un precocissimo e quasi innato, “miracoloso” talento creativo che è stato riconosciuto dai suoi più grandi contemporanei (da Montale a Quasimodo, da Pasolini a Manganelli, da Maria Corti a Giovanni Raboni). Alda ci ha lasciato il suo esempio di donna irriducibile, non “addomesticabile”, fuori dagli schemi, profondamente libera e anticonformista. Ci ha lasciato la sua ironia, la sua intelligenza, la sua leggerezza nel saper usare i media senza lasciarsi usare. Per questo è diventata anche un’icona pop amata da tutti e soprattutto dai giovani.

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