James Joyce, uno dei più influenti autori del XX secolo, è noto principalmente per la sua prosa innovativa e le sue opere monumentali come “Ulisse” e “Gente di Dublino“. Tuttavia, un aspetto meno conosciuto della sua vita è l’intensa corrispondenza avuta con la moglie: Nora Barnacle. Grazie alla casa editrice Alter Ego e al lavoro di Andrea Carloni, anche in Italia possiamo finalmente leggere i dialoghi a distanza tra James e Nora. Queste lettere, piene di passione, vulnerabilità, intimità, e anche volgarità, offrono uno sguardo profondo non solo sulla loro intima relazione, ma soprattutto sui pensieri di uno dei più grandi scrittori mai esistiti.
Joyce incontrò Nora a Dublino nel 1904, e tra loro iniziò una storia d’amore tumultuosa, passionale caratterizzata da un’attrazione immediata, viscerale e da una connessione emotiva profondissima. In una lettera scritta nel 1909, Joyce descrisse Nora come “la sua musa, la sua vita”. Questo entusiasmo giovanile si riflette nelle parole cariche di sentimenti che lo scrittore irlandese utilizza, rivelando la sua vulnerabilità e la sua dipendenza emotiva dalla donna.
Le lettere di Joyce a Nora non sono solo una celebrazione dell’amore passionale, ma anche un diario delle ansie e delle ambizioni dello scrittore. In una lettera datata 1912, Joyce scrive: “Quando non sono con te, mi sento come un uomo senza anima”. Questo senso di incompletezza non è soltanto un riflesso della sua dedizione nei confronti di Nora, ma anche una sfumatura reale del suo carattere, una fragilità dovuta alle sue pressanti ambizioni artistiche. Joyce spesso coinvolgeva Nora nei suoi progetti letterari, chiedendo il suo parere e condividendo i suoi progressi. Le missive diventano così un vero e proprio palcoscenico dove lo scrittore si espone sia come marito che come artista, unendo la sfera privata a quella pubblica.
Lo stile linguistico è ricco e sensuale e pervade praticamente tutte le lettere. Joyce utilizza termini audaci e descrizioni vivide, che rendono le sue missive dei veri e propri componimenti poetici. In una lettera del 1916, ad esempio, scrive di voler “dipingere il corpo di lei con il suo desiderio” – una scelta di parole che mostra come Joyce non temesse di esplorare a fondo la parte fisica e corporale dell’amore verso la moglie. Questo utilizzo dello stile riflette l’intimità e la connessione unica che intercorreva tra lui e Nora, rendendo quest’ultima non solo la sua compagna, ma anche la sua più stretta confidente, una figura ispiratrice.
Nora, a sua volta, non era soltanto una musa passiva, intenta a ricevere le attenzioni del marito. Le sue risposte alle lettere di Joyce rivelano una donna dal carattere forte e dall’indole indipendente, che non esitava a mettere in discussione le idee del grande autore e perfino la sua ineccepibile scrittura.
Le lettere di Joyce a Nora non sono solo una finestra sulla loro relazione, ma anche una testimonianza del potere della scrittura come mezzo per esplorare l’amore, la vulnerabilità e la creatività. Pubblicate postume, queste lettere hanno contribuito a costruire l’immagine di Joyce non solo come scrittore, ma anche come un uomo che ha vissuto un amore profondo, viscerale e complesso. La loro corrispondenza è diventata un simbolo di come l’amore possa alimentare la creatività, rendendo le esperienze umane universali e senza tempo.
In un mondo letterario spesso dominato da narrazioni stereotipate e distaccate, le lettere di James Joyce a Nora Barnacle offrono un contrappunto intimo e toccante. Rivelano un matrimonio di fatto e di intenti che ha saputo attraversare i turbini del tempo, arricchendo la vita di Joyce e le sue opere. La loro corrispondenza rimane un tesoro, un esempio di come l’amore e la scrittura possano intrecciarsi in modi sorprendenti, inusuali e indimenticabili.
Titolo: Le lettere a Nora
Autore: James Joyce
Curatore: Andrea Carloni
Editore: Alter Ego
Collana: Doppelgänger
Anno edizione: 2024
In commercio dal: 29 maggio 2024
Pagine: 176 p., Brossura
James Joyce era il primogenito di una numerosa famiglia della buona società irlandese, di forte tradizione cattolica e nazionalista che lo iscrisse nei migliori collegi cattolici della città.
Poi le condizioni della famiglia andarono peggiorando, fino ad arrivare a uno stato di assoluta povertà dopo la morte della madre (1903).
L’educazione gesuitica influenzò la sua formazione, tanto da provocare in lui una temporanea vocazione sacerdotale, presto abbandonata.
Dopo la pubblicazione dei primi lavori letterari, ancora all’università, conobbe Yeats ed ebbe uno scambio epistolare con Ibsen.
Dopo la laurea, spinto dal vago proposito di studiare medicina alla Sorbona, trascorse un breve periodo a Parigi, dove approfondì anche le sue nozioni di scienze naturali; fra i suoi interessi principali rimaneva comunque la letteratura.
Ritornato a Dublino, lavorò per un periodo come insegnante privato e nel 1904 sposò Nora Barnacle (che gli rimase accanto tutta la vita, dandogli due figli, Giorgio e Lucia). Dopodiché lasciò definitivamente l’Irlanda.
Trasferitosi prima a Pola e, l’anno seguente, a Trieste – dove rimase (salvo una breve parentesi romana fra il 1906 e il 1907) fino al 1915 – insegnò sempre alla Berlitz e in altri istituti. Nel frattempo nasceva l’amicizia con Italo Svevo. La guerra lo costrinse a lasciare Trieste per Zurigo, dove soggiornò fino alla fine del conflitto entrando in contatto con Pound e intrecciando molte amicizie.
Nel 1920 si trasferì a Parigi, dove rimase vent’anni, frequentando Valéry-Larbaud, Aragon, Eluard, Th.S. Eliot, Hemingway, Fitzgerald, Beckett. Lì nel 1922 pubblica Ulysses, grazie al rapporto di stima con Sylvia Beach, fondatrice della libreria-editrice Shakespeare and Company, importantissimo luogo di aggregazione culturale parigino.
Nella vita personale fu importante la salute della figlia Lucia. Fu per curare lei che nel 1934 ebbe un incontro con C.G. Jung, grazie al quale approfondì le sue conoscenze sulla psicologia del profondo. Lasciata la Francia a causa della guerra imminente, si stabilì nuovamente a Zurigo, dove morì il 13 gennaio 1941 praticamente cieco a causa di una malattia degli occhi che lo aveva accompagnato per tutta la vita.