RECENSIONE
Nel cuore della Russia del XIX secolo, tra gelide nevi e feroci passioni, si svolge la storia de “L’idiota”, uno dei massimi capolavori della letteratura russa e mondiale. A più di centocinquant’anni dalla sua pubblicazione, la casa editrice Neri Pozza ne ripropone una nuovissima edizione tradotta da Serena Prina.
Scritto dall’autore e filosofo esistenzialista Fëdor Dostoevskij, questo romanzo è uno dei più grandi trattati sull’animo umano. Un’esaltazione e un’esplorazione di alcuni dei concetti fondamentali della natura umana e non solo; come la bellezza, la follia e la bontà.
La stesura dell’opera fu contemporanea all’esilio dello scrittore russo. Dostoevskij, infatti, tormentato da debiti, iniziò a lavorare al romanzo a Ginevra nel settembre del 1867. Proseguì poi la scrittura a Vevey, a Milano e infine a Firenze, dove completò l’opera nel gennaio del 1869. Una targa sulla Piazza de’ Pitti, proprio a Firenze, ricorda la sua permanenza nel palazzo, durata quasi un anno.
Le vicende dell’opera ruotano attorno alla figura del principe Lev Nikolàevič Myškin, soprannominato “l’idiota” per la sua innocenza e il suo candore, che ritorna in Russia dopo un soggiorno in Svizzera, dove si era cercato di guarirlo dall’epilessia. Myškin è un uomo “positivamente buono”, un Cristo del suo tempo. La sua purezza e la sua ingenuità lo rendono un’anima rara in un mondo corrotto. Durante il viaggio in treno, Myškin incontra Parfën Rogòžin, il figlio squattrinato di un ricco mercante morto di recente. Entrambi tornano in Russia per reclamare un’eredità, questo loro incontro segnerà l’inizio di una serie di eventi che cambieranno le loro vite in modo irrevocabile.
Attraverso la figura di Myshkin, Dostoevskij ci propone una profonda riflessione sull’essenza della bontà e della purezza morale, analizzando in maniera minuziosa le contraddizioni e le ipocrisie della società russa dell’epoca. Il romanzo esplora tematiche universali come l’amore, la morte, la follia e la redenzione, tutte osservate da un occhio attento e accuratamente concentrato sulla inestricabile complessità dell’animo umano.
Lo stile di Dostoevskij è caratterizzato da una scrittura intensa e vibrante, capace di cogliere le sfumature psicologiche dei personaggi e di creare un’atmosfera di suspense e di drammaticità. La tecnica narrativa è polifonica, con una molteplicità di voci e di punti di vista che si intersecano e si contrappongono, creando un ritratto caleidoscopico della realtà.
“L’idiota” è un romanzo denso e sofisticato, che richiede un’attenta e approfondita lettura per cogliere appieno la complessità psicologica, etica e morale dei personaggi e delle situazioni descritte. La prosa di Dostoevskij è intensa e coinvolgente, uno stile che ha pochi eguali nell’intera storia della letteratura mondiale. Un legame sintattico-semantico capace di trasportare il lettore in un mondo sospeso tra il sogno e la realtà, tra la luce e l’ombra.
“L’idiota” è un viaggio negli abissi più oscuri e impenetrabili nell’animo umano, un’opera che sfida ad una riflessione critica e affascinante sulla bontà e sulla pazzia. Dostoevskij descrive come la bellezza e la fragilità sono indissolubilmente intrecciate, e di come l’innocenza può essere sia una benedizione che una condanna.
In conclusione, “L’idiota” è un capolavoro immortale, un tesoro della letteratura che continua a ispirare, affascinare e interrogare generazioni di pensatori e lettori. Un romanzo in cui l’umanità si manifesta in tutta la sua tremenda inesplicabilità. Un’opera senza tempo di un autore senza tempo.
Titolo: L’idiota
Autore: Fëdor Dostoevskij
Traduttore: Serena Prina
Editore: Neri Pozza
Collana: Biblioteca
Anno edizione: 2024
In commercio dal: 8 marzo 2024
Pagine: 880 p., Brossura
Fëdor Dostoevskij è stato un autore russo, considerato uno dei pensatori e romanzieri più influenti dell’Ottocento. Figlio di un medico, un aristocratico decaduto stravagante e dispotico, crebbe in un ambiente devoto e autoritario. Nel 1837 gli morì la madre, da tempo malata, e Dostoevskij venne iscritto alla scuola del genio militare di Pietroburgo, istituto che frequentò controvoglia, essendo i suoi interessi già risolutamente indirizzati verso la letteratura (risalgono a quegli anni le sue prime letture importanti: Schiller, Balzac, Hugo, Hoffmann). Diplomatosi nel 1843, rinunciò alla carriera che il titolo gli apriva e, lottando con l’indigenza e con i disagi di una salute cagionevole, cominciò a scrivere: il suo primo libro, il romanzo Povera gente (1846), che ebbe gli elogi di critici come Belinskij e Nekrasov, rivela già l’attenzione pietosa di Dostoevskij per la sofferenza dell’uomo socialmente degradato e insieme incompreso nella sua bontà. Nello stesso anno uscì il suo secondo romanzo, Il sosia, storia di uno sdoppiamento psichico per il quale il protagonista viene progressivamente travolto nell’incubo di un altro se stesso. Due anni dopo venne dato alle stampe Le notti bianche (1848), racconto insieme sentimentale e allucinato il cui personaggio principale è un giovane sognatore che si innamora di una fanciulla incontrata per caso. Nel 1849, per aver aderito a un circolo di intellettuali socialisti, Dostoevskij venne condannato a morte con gli altri membri del gruppo; ma il giorno stesso dell’esecuzione giunse la «grazia» dello zar (si trattava infatti di un’atroce messinscena punitiva) e la condanna fu commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Quello che seguì fu per Dostoevskij un periodo durissimo (cominciò tra l’altro a manifestarsi in lui l’epilessia) e lo scrittore lo rievocò con estrema intensità in un libro pubblicato qualche tempo dopo: Memorie da una casa di morti (1861-62). Altri quattro anni Dostoevskij dovette trascorrere, arruolato come soldato semplice, a Semipalatinsk, prima di poter tornare (1858) a Pietroburgo. Nel 1857 si era sposato con una giovane donna, vedova con un figlio; nel 1859 videro la luce due altri suoi romanzi, Il villaggio di Stepancikovo e Il sogno dello zio, opere in cui si intrecciano umorismo grottesco e critica di costume. Nel 1861 Dostoevskij cominciò la propria attività giornalistica (collaborando anzitutto alla rivista del fratello Michail «Il Tempo», presto soppressa dalle autorità) e nel 1862 pubblicò il romanzo Umiliati e offesi, sofferta indagine sulle virtualità dell’anima umana, così spesso soffocate o tradite. Nel 1864 gli morirono moglie e figlio. Nello stesso anno, sommerso dai debiti, fondò il periodico «Epoca», che ebbe però vita sfortunata e breve; nel 1865 diede alle stampe Memorie dal sottosuolo*, storia della fallita redenzione di una prostituta e tormentosa disamina dell’inconscio e dell’insufficienza dell’intelletto a penetrare (e giustificare) se stessi e il prossimo. Nel 1866 apparve Delitto e castigo, che si chiude col pentimento e l’espiazione del protagonista, accortosi della disumanità della propria astratta morale di «individuo superiore». Nel 1867 Dostoevskij sposò la propria stenografa, Anna Snitkina e pubblicò Il giocatore, un romanzo parzialmente autobiografico il cui «eroe» è un uomo travolto dalla passione della roulette; poi, perseguitato dai creditori, lasciò con la moglie la Russia, viaggiando in Germania, Francia, Svizzera, Italia. Visse all’estero circa cinque anni e in quel periodo scrisse L’idiota (pubblicato nel 1868-69), storia della sconfitta di un uomo «assolutamente buono». Tornato in Russia, pubblicò nel 1873 I demoni, un romanzo centrato sulla problematica del nichilismo, dell’atto gratuito e dell’assenza di Dio. Nello stesso 1873 Dostoevskij iniziò, sul periodico reazionario «Il Cittadino», la pubblicazione del Diario di uno scrittore, che poi, a partire dal 1876 e fino al 1881, apparve come rivista a sé stante. Questo Diario includeva oltre che articoli di critica letteraria, di morale, di polemica sociale ecc., anche dei racconti, tra i quali meritano particolare menzione Il fanciullo presso Gesù (1876) e La mite (1877). Nel 1875 apparve L’adolescente, ritratto di un giovane che vince la propria solitudine e il proprio astio nei confronti del prossimo abbracciando gli ideali di un mistico populismo cristiano. Nel 1879-80 vide la luce l’ultimo romanzo di Dostoevskij, I fratelli Karamazov, in cui si contrappongono l’odio tra padre e figli e la purezza e la fede di una creatura innocente. Lo scrittore era ormai famoso quando, repentinamente, fu colto dalla morte. «Voi morirete, ma non potrete mai comunicare a nessuno la sostanza più intima della vostra idea».