Se c’è una figura letteraria che ha saputo catturare l’attenzione di generazioni di lettori italiani, quella è senza dubbio Luciano Bianciardi. L’omonimo premio letterario, istituito come “premio alla carriera” nel 2022, si arricchisce quest’anno di una nuova sezione: quella degli inediti.
In occasione di questa interessantissima novità, abbiamo intervistato Luciana Bianciardi, fondatrice e direttrice editoriale di ExCogita, nonché figlia del brillante e ribelle scrittore grossetano.
Il 14 dicembre 2022 è stato il centenario della nascita di Luciano Bianciardi, uno dei più importanti e poliedrici intellettuali del secolo scorso. Al di là della maestosa produzione letteraria, chi era suo padre?
Un autore che ebbe un successo incredibile con il suo romanzo La vita agra, ma per il quale il successo era il participio passato del verbo succedere: avrebbe potuto limitarsi -come tanti autori suoi contemporanei- a scrivere un libro “arrabbiato” all’anno, costruirsi il personaggio dell'”incazzato” cronico e sfruttarlo. Avrebbe potuto diventare un collaboratore fisso di testate prestigiose, invece preferì scrivere su giornali allora giudicati “scandalosi”. Insomma, ogni forma di “addomesticamento”, letterario e civile, gli andava stretto.
Se dovesse rivolgersi a qualcuno che non ha letto nulla di Luciano Bianciardi, da quale opera consiglierebbe di iniziare?
Be’, partire da La vita agra è sicuramente un buon passo, anche se per molti giovani il romanzo risulta “ostico” soprattutto nel primo capitolo. ExCogita ne ha pubblicata una versione annotata, che chiarisce molti passi di difficile interpretazione.
Disagio, malinconia, ironia, utopia, mai come in questo momento storico, i concetti affrontati da Luciano Bianciardi sembrano essere di fondamentale importanza per capire la società umana. Come si spiega questa sua profonda e lungimirante capacità espressiva?
Bianciardi era uno che vedeva più lontano degli altri. Certe sue intuizioni mi stupiscono ancora oggi: aver capito già negli anni ’60 il potenziale della televisione e i danni che avrebbe prodotto, quando tutta Italia ne parlava con un misto di deferenza e di ammirazione, e dire che la televisione andava spenta, quando ogni italiano non vedeva l’ora che cominciassero i programmi per accenderla, è stata davvero un’intuizione profonda, sintomo di una lungimiranza davvero singolare.
Non solo un semplice scrittore, ma un pensatore a tutto tondo, un “attivista culturale”, potremmo dire, viste le sue innumerevoli attività e propensioni. Anche nel suo modo di vivere Bianciardi ha rappresentato una protesta contro la moderna visione dell’uomo come essere specializzato e inquadrato. Cosa ne pensa a riguardo?
A volte penso a che cosa direbbe oggi, a come reagirebbe a una scuola che sempre di più predilige la specializzazione, la settorializzazione; penso a che cosa direbbe della tecnologia, lui che in vita sua non ha mai voluto acquistare una macchina per scrivere elettrica, perché non amava le cose che andavano più veloci del suo cervello. Ma poi penso che magari anche oggi ci stupirebbe con qualche commento che andrebbe in senso contrario a ciò che ci aspetteremmo.
Una delle vicende cruciali della vita di suo padre è stata la tragedia dei minatori di Ribolla: il 4 maggio 1954 una miniera esplose uccidendo 43 lavoratori. Per Bianciardi quella tragedia fu uno spartiacque: subito dopo, infatti, accettò l’invito a trasferirsi a Milano per partecipare alla creazione di una nuova casa editrice, la Feltrinelli. Cosa significò per suo padre quella tragedia?
Innanzitutto la perdita di 43 amici, perché tali erano diventati i minatori: nel suo sforzo di operatore culturale, infatti, come direttore della Biblioteca Chelliana, la biblioteca comunale di Grosseto, aveva creato un Bibliobus, un furgoncino con il quale girava per le campagne maremmane, andando a portare i libri della biblioteca fin nei borghi più remoti della provincia (“se la gente non viene in biblioteca, sarà la biblioteca ad andare dalla gente” diceva). Così aveva conosciuto i minatori e la loro realtà lavorativa; ammirava molto il lavoro manuale, tanto che quando parlava del suo lavoro di traduttore usava termini propri della miniera (sfangare, compagno di barella ecc.)
Le Case Editrici Feltrinelli ed ExCogita, in accordo con la Fondazione Feltrinelli, la Fondazione Luciano Bianciardi e l’Università Iulm, ampliando il già presente Premio Letterario Luciano Bianciardi, hanno bandito per il 2024 una nuova sezione dedicata agli inediti a tema libero. Ci può parlare del premio e di questa nuova sezione?
Ho personalmente sempre perorato l’istituzione di una Sezione Inediti del Premio intitolato a mio padre, perché secondo me tale sezione è più “bianciardiana” di quella del premio “alla carriera”. Il concorso è rivolto alle opere inedite (non necessariamente di scrittori esordienti, anzi ci auguriamo che arrivino opere anche di scrittori che hanno una certa notorietà e che abbiano già pubblicato). Il tema di quest’anno è libero, ma daremo la precedenza alle opere che abbiano come riferimento “il lavoro culturale”, uno dei cardini dell’opera e del pensiero bianciardiano. Tutti i particolari e le modalità per l’invio dei testi sono riportati sul sito www.lucianobianciardi.it
Luciano Bianciardi è uno scrittore unico, autentico, spietato, con lo sguardo sempre rivolto in avanti, alle nuove generazioni. Se potesse rivolgersi ai ragazzi di oggi, spaesati, in crisi, soli, cosa consiglierebbe loro?
Con le parole di mio padre: “…di liberarsi dalle pastoie delle grandi produzioni [grandi gruppi editoriali, grandi case di produzione] per acquisire maggiore libertà, e di fare di tale libertà un uso sempre più largo e sempre più spregiudicato”.
Come figura importante dell’editoria italiana, come addetta ai lavori, la salute dell’editoria nostrana è davvero così cagionevole come viene descritta? Se sì, qual è secondo lei la strada da percorrere per poterla curare?
ExCogita, la casa editrice che ho fondato e che dirigo ormai da 25 anni, è nata da una riflessione maturata quando traducevo e, portando le mie traduzioni ai redattori delle grosse case editrici, trovavo i loro tavoli sempre ingombri di dattiloscritti. Un giorno chiesi a uno di loro che cosa fossero, e scoprii che si trattava di “autoproponentesi”, cioè di gente che mandava il proprio dattiloscritto senza avvalersi della mediazione di un agente, o di un consulente. Il redattore mi disse che loro non leggevano “quella roba”, così ne chiesi qualche esemplare e provai a leggerli. Ebbene, in qualche caso si trattava di roba molto migliore di quella che mi facevano tradurre: se non altro, erano storie più originali.
Capii allora che bisognava ripensare a un’editoria nuova, nella quale l’attività di scouting fosse il faro, la direttiva da seguire; e che bisognava trovare una nuova forma per far arrivare i libri alla gente e liberarsi così dall’imbuto strozzante della distribuzione. Siamo stati i primi in Italia ad avere un sito di e-commerce, che funzionava (era il 1999!) senza l’intermediazione di una banca: il cliente ordinava il libro e noi lo spedivamo senza aspettare la verifica dell’avvenuto pagamento. Un atto di fiducia verso il nostro cliente. Lei non ci crederà, ma pagavano tutti. Forse con qualche eccezione…