Nino Di Matteo, all’anagrafe Antonino Di Matteo (Palermo, 26 aprile 1961), è un magistrato italiano. Da ottobre 2019 è Consigliere togato (indipendente) del CSM. Dal 2010 al 2012 è stato presidente della giunta distrettuale di Palermo dell’Associazione Nazionale Magistrati. A causa della sua attività, Di Matteo è sotto scorta dal 1993. È poi stato candidato alla Presidenza della Repubblica Italiana il 28 gennaio 2022.
Nino Di Matteo, già sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta, a Palermo e presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, è consigliere togato indipendente del Csm. Negli anni ha indagato sulle stragi dei magistrati Chinnici, Falcone, Borsellino e delle loro scorte, e sull’omicidio del giudice Saetta. Pm in innumerevoli processi a carico dell’ala militare di Cosa Nostra, si è occupato anche dei processi a Cuffaro, al deputato regionale Mercadante, al funzionario dei servizi segreti D’Antone e alle “talpe” alla procura di Palermo.
Diverse amministrazioni comunali gli hanno conferito la cittadinanza onoraria per il suo impegno nella ricerca della verità. È autore di Assedio alla toga (con Loris Mazzetti, Aliberti) e Collusi (con Salvo Palazzolo, Rizzoli).
BIOGRAFIA
Ha conseguito il diploma di maturità classica presso l’Istituto Gonzaga e si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo. È entrato in magistratura nel 1991 come sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta. Divenuto pubblico ministero a Palermo nel 1999, ha iniziato a indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, oltre che sugli omicidi di Rocco Chinnici e Antonino Saetta; per l’omicidio Chinnici ha rilevato nuovi indizi sulla base dei quali riaprire le indagini e ottenere in processo la condanna anche dei mandanti, riconosciuti in Ignazio e Antonino Salvo, mentre per l’omicidio Saetta otteneva l’irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina.
Nel 2019 viene eletto consigliere del Consiglio superiore della magistratura.
L'attività e le minacce di attentati
Nel corso della sua carriera si è più volte occupato dei rapporti tra Cosa nostra e alti esponenti delle istituzioni. È attualmente impegnato nel processo a carico dell’ex prefetto Mario Mori, in relazione a ipotesi di reato eventualmente connesse alla trattativa Stato-mafia. Nel corso del processo veniva resa pubblica la minaccia di morte da parte del boss Totò Riina, intercettata dalla magistratura durante una conversazione privata in carcere con un altro recluso: «A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri» Inoltre sembra che Matteo Messina Denaro abbia organizzato un attentato ai danni del pm già nel 2013: infatti il boss di Castelvetrano è stato accusato da Vito Galatolo di aver fatto recapitare ai boss di Palermo di quel tempo un pizzino in cui chiedeva l’eliminazione del pm poiché “si è spinto troppo oltre” . Il collaboratore ha inoltre specificato che si trattasse de “gli stessi mandanti di Borsellino”.
Nel 2018, Mori lo criticò per le sue apparizioni televisive e per il libro pubblicato col giornalista Saverio Lodato poco dopo la sentenza del processo di Palermo. In seguito alle minacce ricevute dai mafiosi, Di Matteo è stato sottoposto a eccezionali misure di sicurezza (compresa l’assegnazione del dispositivo bomb jammer), annunciate alla stampa dallo stesso ministro dell’interno Angelino Alfano nel dicembre 2013, elevando il grado di protezione al massimo livello.
Il giudice ha rifiutato però l’uso offertogli di un mezzo blindato Lince, a suo avviso “un carro armato” a tutti gli effetti, non adatto a circolare in un centro abitato.
L’assegnazione del bomb jammer non sarebbe tuttavia stata seguita dall’effettiva disponibilità di un simile accorgimento, secondo il movimento spontaneo di “Scorta Civica”, di cui fanno parte cittadini appartenenti a diverse associazioni antimafia che hanno promosso l’iniziativa del presidio permanente di fronte al Palazzo di Giustizia a Palermo (e in diverse altre manifestazioni in varie piazze italiane) proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sui gravi rischi che corrono quotidianamente i PM come Nino Di Matteo.
Il processo per la strage di via d'Amelio
Il primo processo (Borsellino I) sull’uccisione del magistrato Borsellino, derivato dalle dichiarazioni in seguito dimostratesi false di Vincenzo Scarantino, ha avuto luogo nella corte d’assise di Caltanissetta presieduta da Renato Di Natale, conclusosi il 26 gennaio 1996, ha condannato all’ergastolo Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino e Pietro Scotto e a 18 anni di reclusione per il presunto collaboratore Vincenzo Scarantino, come richiesto della Procura. In secondo grado, la corte presieduta da Giovanni Marletta ha confermato l’ergastolo solo per Profeta, invece Orofino è stato condannato per favoreggiamento a nove anni di reclusione e Scotto è stato assolto. Scarantino ritrattò le sue confessioni e le sue accuse, ed emerse che queste gli erano state estorte con la violenza dal prefetto Arnaldo La Barbera. Il processo si conclude dopo tre gradi di giudizio: sentenza della corte d’assise di Caltanissetta (26 gennaio 1996), sentenza della corte d’assise d’appello di Caltanissetta (23 gennaio 1999), sentenza della Cassazione (18 dicembre 2000).
La sentenza del tribunale nisseno mette fine a una vicenda cominciata il 27 settembre 1992, quando il gruppo investigativo speciale “Falcone-Borsellino” guidato dall’ex capo della squadra mobile di Palermo (e agente del Sisde) Arnaldo La Barbera arresta Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino.
All’epoca la Procura di Caltanissetta era composta da:
- dott. Gianni Tinebra – Procuratore della Repubblica
- dott. Francesco Paolo Giordano – Procuratore della Repubblica Aggiunto
- dott. Carmelo Petralia – Sostituto Procuratore della Repubblica.
- d.ssa Ilda Boccassini – Sostituto Procuratore della Repubblica.
- dott. Fausto Cardella – Sostituto Procuratore della Repubblica.
Al processo Borsellino I, faranno seguito il Borsellino II, III e IV. Di quest’ultimo è stata emessa sentenza il 20 aprile 2017 e le motivazioni depositate in data 30 giugno 2018. Per Vincenzo Scarantino viene dichiarato il non doversi procedere per avvenuta prescrizione.
- Vicenda Scarantino
In base alle rivelazioni di Gaspare Spatuzza i predetti condannati verranno assolti. Sul falso pentito Vincenzo Scarantino vengono attribuite a Nino Di Matteo responsabilità che lo stesso smentisce. Ascoltato dalla Commissione Antimafia ha dichiarato:
«Divenni sostituto procuratore a Caltanissetta alla fine di settembre del 1992, nei giorni in cui il GIP di Caltanissetta sottoponeva a custodia cautelare Scarantino. Mi occupavo solo, essendo appena arrivato, di procedimenti ordinari (fino al dicembre del 1993). Solo il 9 dicembre del 1993 entrai a far parte della direzione distrettuale antimafia, con il compito esclusivo, che ho mantenuto fino al novembre del 1994, signor presidente, di inchieste e processi che riguardavano la mafia e la Stidda di Gela. Entrai a far parte, per la prima volta, del gruppo di magistrati che seguivano le indagini e i processi per le stragi solo nel novembre del 1994, quindi due anni e quattro mesi dopo la strage e due anni e due mesi dopo l’arresto di Scarantino.» |
Di Matteo, dunque, non ebbe un ruolo nelle indagini del Borsellino I, mentre nel Borsellino II ha seguito in particolare la fase dibattimentale al termine della quale ha chiesto e ottenuto per quattro dei sette imputati per strage, successivamente ritenuti estranei alla stessa, l’assoluzione proprio perché accusati dal solo Scarantino.
Diversamente Di Matteo ha seguito dall’inizio delle indagini il processo Borsellino III, conclusosi definitivamente con la condanna di oltre 20 mafiosi tra organizzatori ed esecutori dell’attentato (tra cui compaiono boss come Giuseppe “Piddu” Madonia, Benedetto “Nitto” Santapaola, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Michelangelo La Barbera, Mariano Agate, Cristoforo Cannella, Filippo Graviano e Domenico Ganci).
Proprio da questo processo emersero per la prima volta le vicende in merito all’accelerazione che portò alla morte del giudice Borsellino oltre che riguardo al possibile coinvolgimento dei cosiddetti “mandanti esterni”. È in quel dibattimento, infatti, che il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi fa i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri che verranno indagati, e poi archiviati, sotto gli pseudonimi “Alfa e Beta”.
La verità emerse in seguito al pentimento del reale colpevole, Gaspare Spatuzza. La revisione del processo a carico delle 11 persone ingiustamente condannate si concluse nel 2017 con l’assoluzione piena dei 9 ancora in vita.
Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, lanciò dure accuse alla Procura di Caltanissetta, definita «massonica», e ai pm che si occuparono delle indagini, tra cui Gianni Tinebra, Annamaria Palma, Carmelo Petralia e lo stesso Di Matteo.
Le dichiarazioni sulla politica
In relazione alle indagini sulla trattativa Stato-mafia, essendo indagato l’ex senatore ed ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, intercettando le sue utenze telefoniche alla fine del 2011 si venne a registrare anche una o più telefonate da questi intrattenute con l’allora capo dello stato Giorgio Napolitano, verosimilmente ignaro del controllo in corso sull’altro politico. Di Matteo, intervistato da un giornalista, aveva ammesso indirettamente l’esistenza di queste registrazioni, affermando però che non fossero di alcuna utilità processuale e pertanto non sarebbero state utilizzate in dibattimento. Una polemica si accese in ordine alla richiesta del Quirinale di distruggere le registrazioni, che evolse nella sollevazione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale, presto ammesso e che si sarebbe poi concluso con sentenza di accoglimento delle richieste della presidenza della Repubblica, cui seguì nell’aprile 2013 la materiale distruzione dei supporti.
Nell’aprile del 2014 Di Matteo è stato prosciolto in istruttoria dal procedimento in corso presso la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM), aperto nel luglio 2012.
Nel successivo mese di maggio, il medesimo CSM ha diramato una circolare nella quale si prescrive che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia debbono essere affidati esclusivamente a chi fa parte della direzione distrettuale antimafia, e questo non era il caso né di Di Matteo né di altri suoi colleghi.
Nel luglio 2014, in occasione della commemorazione della strage di via D’Amelio, Di Matteo ha espresso considerazioni assai critiche nei confronti di Napolitano, di Silvio Berlusconi e anche di Matteo Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri in carica, promotore di alcune importanti trattative politiche con il fondatore di Forza Italia, qualche mese prima condannato alla pena di 4 anni di reclusione per evasione fiscale; la sortita ha provocato immediate reazioni da parte di esponenti politici di Forza Italia, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica